Ott 05
Quest'anno Stoà Sicula collaborerà con Le Vie dei Tesori, il festival che ha avuto origine a Palermo per dare risalto alle bellezze siciliane.

Nei weekend dal 02 al 31 ottobre ci occuperemo di valorizzare la città di Acireale inserita nel circuito "Le vie dei Tesori - Catania 2021". - RECUPERO QUINTO WEEKEND sabato 6 e domenica 7 novembre
 
 

Ci siamo occupati della selezione dei luoghi che potrete visitare insieme ai noi.


🔸 Chiesa di San Benedetto
🔸 Chiesa e chiostro di San Biagio
🔸 Chiesa del S.S. Salvatore
🔸 Museo del Carnevale
🔸 Mostra permanente delle uniformi storiche
 
 
Tra le esperienze troverete invece:

🔸 L'arte della scultura del carretto
🔸 Raciti Palace: Acireale dall'alto come non l'avete mai vista

 


 
Chiesa di San Benedetto

Un piccolo tesoro nascosto dalle finiture dorate

La chiesa era originariamente dedicata alla Madonna delle Grazie. Nelle sue vicinanze pare sorgesse un’edicola in onore di Sant’Agata, le cui reliquie furono trasportate nel 1126 da Costantinopoli a Catania. La chiesa deve l’aspetto attuale alla ristrutturazione di XVII secolo, dopo il terremoto del 1693. All’interno sono ancora visibili le tracce dell’antico monastero che era adiacente.

Giorni Apertura: sabato dalle 10 alle 13.30 e dalle 15 alle 17.30

Indirizzo: Via Davì , 29

Durata visita: 30 minuti

QUINTO WEEKEND sabato 6 e domenica 7 novembre

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Chiesa e chiostro di San Biagio
 Il chiostro con gli affreschi del “sordo di Aci”

La storia della chiesa e del convento di San Biagio risale al 1611. Oggi ai resti più antichi si affiancano i restauri subiti nel corso dei secoli. Il chiostro custodisce ancora gli affreschi sulla vita e i miracoli di San Francesco, opere del cosiddetto “sordo di Aci”. Al centro si scopre ancora l’antica cisterna, una delle poche testimonianze rimaste dopo l’ammodernamento.

 
Giorni Apertura: sabato 2, 9, 23 e 30 e domenica 3, 10, 24 e 31 dalle 10 alle 13.30 e dalle 15 alle 17.30

Indirizzo: Piazza San Biagio , 17

Durata visita: 30 minuto

QUINTO WEEKEND solo domenica 7 novembre
 

 
Chiesa del S.S. Salvatore
Alla scoperta dei misteriosi affreschi settecenteschi

La chiesa fu edificata nel XVI secolo, ampliata nel 1603 e restaurata più volte. Durante la peste del 1646 divenne lazzaretto. Dopo dieci anni fu dedicata al Monte Calvario: il Venerdì Santo da qui ha inizio la processione del Cristo Morto. Ospita bellissimi (e misteriosi) affreschi di autore ignoto, ci sono solo le iniziali, più tele realizzate da artisti locali ed alcune opere ottenute tramite lascito.

 
 
 
Giorni Apertura: sabato e domenica dalle 10 alle 13.30 e dalle 15 alle 17.30
 
Indirizzo: Corso Savoia , 186

Durata visita: 30 minuti
 
 
 
 
Museo del Carnevale
Come nasce la festa più amata di Sicilia

Il “più bel Carnevale di Sicilia”, nato nel 1594 ha un museo dedicato dove è possibile immergersi nella lavorazione dei carri, tra le ossature metalliche dei mascheroni, i calchi in gesso, bozzetti e carri in miniatura; e pezzi pregiati come il Rosone della Cattedrale Acese realizzato da Rosario Lizio e il particolare di Palazzo Musmeci, opera di Natale Longo.

 
 
 
Giorni Apertura: sabato e domenica dalle 10 alle 12.40 e dalle 15.30 alle 17.40
 
Indirizzo: Via Ruggero Settimo, 5
 
Durata visita: 20 minuti
 

 
 
Mostra permanente delle uniformi storiche
Esemplari unici, persino di zar e imperatori

All’interno del Palazzo municipale è ospitato il Museo delle uniformi, con pezzi che risalgono al XVIII secolo. La collezione apparteneva all’ingegnere Aldo Scaccianoce, e fu acquistata dall’ Assessorato regionale dei Beni Culturali nel 1988. È composta da alcuni esemplari unici in Italia e alcuni pezzi davvero di grande pregio, tra cui l’uniforme da Generale appartenuta allo Zar Alessandro III di Russia e quella da parata da Feldmaresciallo dell’Imperatore Francesco Giuseppe d’Austria.

Giorni Apertura: domenica dalle 10 alle 12.30 e dalle 15.30 alle 17.30

Indirizzo: Via Ruggero Settimo, 20

Durata visita: 30 minuti

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Raciti Palace: Acireale dall'alto come non l'avete mai vista  (ESPERIENZA)
 
Il Raciti Palace, storico edificio di fine ‘800, sorgeva fra la zona nobiliare e quella popolare di Acireale. Oggi è stato restaurato, la visita sarà una vera esperienza: il cortile è popolato da coloratissimi ombrelli sospesi in aria. Dalle sale nobiliari con gli affreschi originari si sale alla splendida terrazza sospesa tra mare e vulcano. Il tramonto sarà uno spettacolo.
 
 

Giorni Apertura:
Dal 9 al 31 ottobre tutti i sabati e le domeniche del festival alle 18.15, alle 19.15 e alle 20.15


Indirizzo: Via Galatea, 142

Durata visita: 1 ora
 
(prenotazione online obbligatoria)
 

 
  
L'arte della scultura del carretto
 
Il maestro Salvatore Chiarenza è uno degli ultimi costruttori di carretti che nel corso degli anni, da semplici mezzi di trasporto decorati, si sono trasformati in vere e proprie opere d’arte. Sarà possibile osservarlo all’opera, nel suo laboratorio che è già un’esperienza: tra carretti, pupi, ceramiche e tanto altro.


Giorni Apertura: sabato 9 e 23 alle 9.30

Indirizzo: Via Vittorio Emanuele II, 86/88

Durata visita: 1 ora e 30 minuti

 
(prenotazione online obbligatoria)


 
Ago 30

Graffiti e dipinti dalle grotte

Tra le grotte preistoriche più conosciute in Europa vi è la grotta di Lascaux (Montignac, Francia), definita la “cappella Sistina” della Preistoria. Al suo interno sono state ritrovate pitture parietali interpretate come scene di caccia, o più recentemente rappresentazioni di costellazioni celesti viste dai nostri antenati.

Ma cosa li spingeva a realizzarle? Come lo si faceva in passato?
Proviamo a scoprirlo.

 

 

Quali soggetti riproducevano?

Solitamente le scene riprodotte dagli uomini preistorici erano molto semplici e legate alla loro quotidianità: oltre la caccia, tra le più comuni vi era la rappresentazione delle mani realizzate immergendole nel colore, soffiando con una “cannuccia” o tracciando il contorno con le dita sporche di colore.

Perché dipingevano e come?

Solitamente le ragioni di questi gesti vanno rintracciate nelle solite necessità umane di compiere riti propiziatori o magici, ma magari anche per il puro piacere artistico.

Lo si faceva con le mani, con pennelli naturali ricavati da rametti e foglie o persino con la bocca!

Quali colori utilizzavano?


Trattandosi di colori naturali ricavati da ciò che la natura metteva a disposizione non vi era molta varietà cromatica. Ma tra i colori più comuni troviamo:

NERO: carbone

ROSSO: ocra rossa

GIALLO: ocra gialla

BIANCO: argilla macinata

MARRONE: minerali che diventano scuri all’aria aperta

Altre forme d’arte


L’arte preistorica poteva assumere diverse forme: abbiamo detto della pittura ma vi erano anche i graffiti e le impressioni. Spesso si trattava di forme geometriche realizzate su vasi in ceramica.



Per saperne di più e provare con mano cosa si prova a dipingere con i colori naturali e con strumenti antichi, il nostro laboratorio di Preistoria potrebbe fare al caso vostro!

Mag 06

La storia della Sicilia è stata particolarmente influenzata dalle varie civiltà che si sono affermate nel corso dell’antichità sviluppando e arricchendo una moltitudine di valori, tradizioni e culture. 

Nell’estremità occidentale della Sicilia svetta una montagna che sovrasta la città di Trapani, si tratta del monte Erice. Le sue origini appaiono strettamente legate al santuario dedicato al culto della dea Venere, qui venerata con l’appellativo di “Ericina”.
I legami tra la dea e la cittadina di Erice hanno radici antichissime che affondano le proprie basi direttamente nel mito. Secondo la leggenda, la città di Erice sarebbe stata fondata da Eryx, re degli Elimi, figlio di Bute e della dea Venere, che, concepito sulle rive della vicina Lilibeo, avrebbe fatto costruire, in onore della madre, un tempio sulla cima di un monte che avrebbe dominato l’intero settore occidentale dell’isola. 

Figura 1. Rappresentazione della dea Venere (Foto da https://ventoditrapani.altervista.org/venere-ericina/)

 

LA FESTA

I riti 

Il 23 aprile in Sicilia ricorreva la straordinaria festa in onore della Venere di Erice. Si trattava della celebrazione della carica sessuale della dea e nel corso dei festeggiamenti veniva praticata la prostituzione sacra: un rito di importanza notevole in quanto avrebbe propiziato la fertilità delle terre e l’abbondanza dei raccolti.
Durante la celebre processione le donne erano solite offrire alla dea grandi mazzi di giunco, mirto e rose, chiedendo in cambio salute e bellezza. Ma il rito principale della giornata consisteva nella liberazione verso il cielo di nove colombe bianche allevate direttamente all’interno del tempio stesso.

Le origini

Il culto della Venere Ericina ha origini tipicamente orientali, lo apprendiamo grazie allo svolgimento del rito della prostituzione sacra, ampiamente praticata da diverse popolazioni quali, Sumeri, Armeni, Babilonesi ed Egizi. Tale pratica, infatti, appariva connessa ad importanti divinità femminili come Inanna, Ishtar e Astarte per poi diffondersi in Grecia con il culto di Afrodite e a Roma con quello di Venere. 

La prostituzione sacra

La prostituzione sacra ad Erice era praticata dalle Ierodule, su cui gravava l’obbligo di unirsi sessualmente ad ogni viaggiatore o pellegrino che, scalato il monte, avrebbe offerto doni alla divinità. Le Ierodule, in quanto servitrici della dea, non potevano innamorarsi e non potevano neppure provare sentimenti affettivi. Il termine con le quali venivano chiamate proveniva da “Ierodula”, nome con cui veniva riconosciuta in tutto l’Oriente la dea Ishtar, divinità diffusa tra i Sumeri. Si tratta di un chiaro riferimento alla tradizione e religiosità orientale.

IL CULTO AL DI FUORI DELL’ISOLA

Al di là dello svolgimento di tale pratica, nel corso dei secoli il culto della Venere Ericina assunse proporzioni sempre maggiori che portarono a tramutare il santuario siciliano nel più importante, conosciuto e frequentato dell’intera isola. La fama del santuario, infatti, era ben nota in tutto l’impero. Vi sono tracce della devozione alla Venere Ericina in Sardegna, a Cartagine e a Sicca Veneria, l’odierna El Kef nell’attuale Tunisia. Qui, esisteva un santuario, che la fonte Solino voleva fondato dai Siculi e dove, secondo una leggenda, la dea si recava ogni anno scortata dalle colombe per poi fare ritorno a Erice dopo nove giorni. Secondo la tradizione il tempio tunisino doveva essere gemellato con quello siciliano e in occasione dei festeggiamenti in onore della dea, le colombe bianche liberate dal tempio ericino sarebbero giunte in Tunisia, per poi dopo nove giorni ritornare indietro.
Tuttavia, tra i vari popoli saranno principalmente i romani ad omaggiare maggiormente il santuario e la dea. Diodoro Siculo, ci informa, infatti, come una legge del senato romano stabiliva che 17 città siciliane dovevano versare un’offerta in oro al tempio. Ben presto, infatti, il culto della dea di Erice giunse fino a Roma dove furono eretti due templi: uno sul Campidoglio e l’altro presso la Porta Collina. Per celebrare il gemellaggio sacro tra Erice e Roma, la statua colossale della dea venne portata in processione nel 211 a.C., fino alla capitale. Di essa oggi se ne conserva solo la testa, ribattezzata dagli archeologi con l’appellativo di Acrolito Ludovisi. 

Figura 2. Acrolito Ludovisi, testa colossale della Venere Ericina (Foto da https://museonazionaleromano.beniculturali.it/palazzo-altemps/collezione-boncompagni-ludovisi/)

 

TESTIMONIANZE ARCHEOLOGICHE

Tra i dati materiali che confermano l’importanza del culto romano nei confronti della Venere Ericina troviamo il rinvenimento di monete repubblicane risalenti al 57 a.C., nelle quali appaiono rappresentati il volto della dea nel diritto e il tempio siciliano nel rovescio.

 

Figura 3. Moneta romana raffigurante il busto della Venere nel diritto e il tempio sul monte Erice nel rovescio (https://www.wikiwand.com/it/Tempio_di_Venere_Erycina_(Erice))

 

Rilevanti interventi di restauro al tempio e un rinnovamento cultuale avvennero nel corso dell’impero di Tiberio. L’imperatore, in quanto appartenente alla gens Iulia, dunque, secondo il mito, discendente proprio da Venere, volle omaggiare la propria progenitrice attraverso la realizzazione di un imponente progetto edilizio. Tuttavia, i lavori vennero ultimati successivamente dall’imperatore Claudio. Per quanto concerne la struttura edilizia, gli scavi svolti nel 1932 hanno attestato che esso doveva essere di modeste dimensioni e verosimilmente di forma circolare. 

IL NOME DELLA DEA

Il primo santuario sul monte risalirebbe all’VIII secolo, quando il popolo degli Elimi eresse il tempio in onore di una divinità femminile protettrice della fecondità. A sua volta, il nome della dea subì dunque i cambiamenti linguistici imposti dal succedersi delle varie culture: la fenicia Astarte fu sostituita dalla greca Afrodite e infine dalla romana Venere, ma tutti e tre questi nomi saranno sempre accompagnati dall’appellativo “Ericina”. Appellativo che ne indica la peculiarità del culto siciliano nei confronti della dea e del suo relativo rituale, tuttavia caratterizzato, come visto, da un forte riferimento di origine orientale, come orientale era del resto la provenienza della stessa dea, che verosimilmente affonderebbe le proprie radici in epoche ancora più antiche: all'accadica Inanna e alla sumerica Ishtar. Il volo delle colombe e soprattutto la prostituzione sacra praticata dalle Ierodule sono, infatti, tutti aspetti rituali riscontrabili a Babilonia, a Paphos, a Cnido e in altre località particolarmente note per la presenza di santuari dedicati alla dea.

Apr 21

Il giocattolo è l’arma più potente che ciascun bambino ha sempre avuto a disposizione non solo per impegnare le proprie giornate, ma anche per richiamare l’attenzione di adulti e bambini e soddisfare un bisogno di affetto e interazione con gli altri.

Ma quali oggetti hanno costituito un ruolo tanto importante nel mondo antico?

ANTICO EGITTO

Nell’antico Egitto i bambini si divertivano giocando con palle d’argilla, mentre le bambine possedevano spesso delle trottole dello stesso materiale o delle bambole di legno i cui capelli erano fatti con perline di argilla.

Bambola in legno e Palle d’argilla (da www.aton-ra.com)

ANTICA GRECIA

Il bambino greco era solito giocare con i cerchi, gli antenati dei nostri Hula Hoop! Oppure possedeva giocattoli in ceramica realizzati dai resti di argilla destinata alla fabbricazione di recipienti d’uso domestico. Tra questi cavallini e cavalieri. Anche qui le bambine spesso giocavano con le bambole.

Ganimede gioca con il cerchio, tenendo in mano un gallo (Cratere attico - circa 500-490 aC) (da www.summagallicana.it.)

 

Cavallini e cavalieri

 

ANTICA ROMA

Il bambino romano di certo avrà amato giocare “alla guerra”, ma tra i suoi giocattoli comparivano biglie di vetro o astragali (ossicini utilizzati come un dado ma con sole quattro facce) e modellini di carri. E la bambina? Con le bambole naturalmente!

 

Bambina che gioca con astragali e Bambola di Crepereia (da www.romanoimpero.com)

ANTICA CINA

E in Cina? Di sicuro il giocattolo più diffuso era il liu bo. Di che si trattava? Praticamente il moderno gioco detto Shangai o Mikado.

I VICHINGHI

I piccoli vichinghi dovevano certamente conformare il loro gioco con i climi più rigidi: ecco perché si dedicavano spesso a lanciarsi le palle di neve o al pattinaggio. I pattini erano costituiti da una scarpa in cuoio e una lama in osso, ingegnosi!

Se si trascorreva il tempo dentro casa, però, allora c’era il hneftafl, nient’altro che gli scacchi con le pedine.

 

Pattini in cuoio e lama d’osso

Tavola da hneftafl proveniente da Trondheim (da tafl.cyningstan.com)


Che dire? I bambini di ieri, oggi e domani in fondo saranno pur sempre bambini e i loro giocattoli, per questo, non potranno mai essere tanto diversi con il passare dei secoli.



Apr 04

Nell’arte paleocristiana le rappresentazioni della Resurrezione risultano meno numerose e diffuse rispetto ad altri episodi della vita di Cristo. Questo fenomeno potrebbe essere giustificato dal mistero stesso della Resurrezione, descritto in modo molto scarno nel racconto evangelico: tre giorni dopo la crocifissione alcune donne si recarono al sepolcro portando unguenti profumati. Giunte lì trovarono la pietra di chiusura della sepoltura rovesciata e un angelo che le attendeva. 

Inizialmente la Resurrezione è rappresentata in modo molto semplice e simbolico come nel caso della raffigurazione della croce o dell’agnello.

Simbologia della croce e il monogramma di Cristo

La croce veniva rappresentata in diversi modi, uno dei quali è l'associazione di essa al monogramma di Cristo, il chrismon. La tradizione associa la nascita e la diffusione della rappresentazione della croce  alla celebre “visione” o sogno di Costantino durante la Battaglia di Ponte Milvio. Il chrismon, o chi rho, è formato da due grandi lettere greche sovrapposte ovvero alla 'χ' ('chi') e 'ρ' ('rho') – iniziali della parola 'Χριστός' (Cristo). 

Spesso il  Chrismon è accompagnato dalle due lettere greche 'α' (alfa) e 'ω' (omega), prima e ultima lettera dell’alfabeto greco, in riferimento al celebre passo dell’Apocalisse di Giovanni in cui Cristo dice: «Io sono l'Alfa e l'Omega, il Principio e la Fine».

Dettaglio sarcofago di IV dal cimitero di Domitilla sulla via Ardeatina, oggi ai Musei Vaticani.
(Foto da
https://www.museivaticani.va/content/museivaticani/it/collezioni/musei/museo-pio-cristiano/sarcofagi-_a-colonne/sarcofago-con-scene-della-passione-di-cristo.html)

In foto è presente la decorazione di un sarcofago dal cimitero di Domitilla, a rilievo, è incentrata sul tema della Passione e Risurrezione di Cristo. La Resurrezione è rappresentata come come vittoria sulla morte, anche in segno di speranza per il defunto. Al centro della fronte del sarcofago è rappresentata una croce sormontata dal monogramma di Cristo (X e P, chi-rho, iniziali del greco Christós), simbolo della risurrezione (Anàstasis), cui alludono, in basso, anche i due soldati tramortiti.

 

Simbologia dell'agnello

L’agnello è un altro dei soggetti che sin dalle origini dell’arte cristiana è sempre stato associato alla Pasqua e alla Resurrezione di Cristo. L'origine di questa simbologia è ispirata al racconto del sacrificio di Abramo nell'Antico Testamento.

Sacrificio di Isacco, Caravaggio, Galleria degli Uffizi, Firenze
(Foto da
https://www.studiarapido.it/la-storia-di-abramo-e-sacrificio-di-isacco/)

 

L’agnello è il simbolo del sacrificio della croce e esplica, in modo simbolico, il mistero della Resurrezione. Talvolta è sostituito dall'ariete, animale prediletto per il sacrificio nel culto del vecchio testamento.
La scelta dell'agnello pasquale tra pecore e capre viene interpretata dai Padri della Chiesa orientale come la capacità di redenzione del Cristo che è morto per l’umanità. Secondo la patristica latina, Cristo è nato tra i giusti e i peccatori, tra ebrei e pagani. I Padri della Chiesa vedono nella natura divina di Cristo la perfezione dell'agnello pasquale.

Basilica di San Vitale, Ravenna. I Mosaici bizantini, 546-547.
(Foto da
https://monstermovieitalia.com/2019/04/21/medioevo-mostruoso-lagnello/)

Il ciclo di Giona

La rappresentazione del mistero della Resurrezione di Cristo nell’arte paleocristiana non è mai del tutto esplicita. Un chiaro riferimento è dato dalla frequente rappresentazione del Ciclo di Giona all’interno delle catacombe, dove il messaggio della Resurrezione coincideva con la speranza della vita oltre la morte. Il Vangelo di Matteo collega molto chiaramente la storia del profeta raccontata nell’Antico Testamento con la storia di Gesù: "Come Giona rimase tre giorni e tre notti nel ventre del pesce, così il Figlio dell'uomo resterà tre giorni e tre notti nel cuore della terra".

Nel libro di Giona viene raccontata la volontà di Dio affinché  Giona andasse a predicare a Ninive. Giona, invece, fugge a Tarsis su una nave che è investita da un temporale, quando rivela ai compagni di viaggio il motivo della tempesta, ovvero l’ira di Dio, questi lo gettano in mare, dove un "grande pesce" lo inghiotte. Dal ventre del pesce, dove rimane tre giorni e tre notti, Giona rivolge a Dio un'intensa preghiera, e allora Dio, ordina  al pesce di vomitare Giona sulla spiaggia. Dunque Giona, sopravvissuto, va in missione e predica ai niniviti, che gli credono e proclamano un digiuno. Per tale motivo Dio decide di risparmiare la città. L’esegesi cristiana del libro di Giona, pertanto, prende le mosse in origine da una visione cristologica del racconto, che porterà a guardare Giona come un uomo redento e nella conversione di Ninive una prefigurazione della nascita della Chiesa e della sua missione universale.

 

Giona viene gettato in mare e divorato dalla pistrice, Mosaico, Basilica di Aquileia
(Foto da https://www.beweb.chiesacattolica.it/percorsi/percorso/101/Il+Battistero+nella+storia:+dal+rito+al+luogo/periodi/periodo/1/iconografia/4/Giona)

Giona viene rigettato dalla pistrice, Mosaico, Basilica di Aquileia
(foto da https://www.beweb.chiesacattolica.it/percorsi/percorso/101/Il+Battistero+nella+storia:+dal+rito+al+luogo/periodi/periodo/1/iconografia/4/Giona)

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