La pasta, per gli italiani e non solo, rientra tra i pochi alimenti ai quali difficilmente riusciremmo a rinunciare.
Un fitto alone di mistero si cela attorno alle origini di questo cibo.
Nell’antichità era sicuramente conosciuta nella sua forma primordiale dai Greci, ma dopo la caduta dell’Impero Romano se ne persero le tracce fino a quando non fu riscoperta da Arabi e Cinesi.
Una prima distinzione va fatta, però, fra pasta fresca e pasta secca: la prima si ottiene con l’impasto di farina, acqua o uova e doveva essere consumata subito dopo la sua preparazione.
Una prima ipotesi, più o meno accreditata, è che la pasta nel senso moderno del termine sia stata originariamente creata dai Cinesi e si diffuse in Italia ed in Europa dopo il ritorno di Marco Polo dalla corte di Gengis Khan.
Tuttavia, come si è già detto in precedenza, pare che le origini della pasta siano, in realtà, ancor più antiche e probabilmente circoscritte all’area mediterranea: nei primi millenni a.C. forni primitivi o semplici pietre roventi servivano per la cottura di pane e focacce, i primi preparati dal grano.
Le prime testimonianze scritte provengono da Aristofane (V secolo a.C.) che, in una delle sue commedie, descrive un tipo di pasta molto simile ai ravioli.
Un altro esempio in tal senso, stavolta in ambito archeologico, proviene da una tomba di Cerveteri del periodo etrusco: vengono illustrati alcuni attrezzi da cucina utili alla produzione e preparazione dei suddetti “ravioli”.
Con l’avvento del mondo romano le testimonianze diventano sempre più numerose: Orazio e Terenzio menzionano la pasta nei loro scritti (I secolo a.C.) e Apicio (I secolo d.C.), nel suo De re Coquinaria, introduce il termine lagane. Si trattava di strisce di pasta di spessore variabile che potevano essere farcite con carne cotta, ecco perché esse vengono definite le antenate delle attuali lasagne.
Mosaico raffigurante un giovane che serve laganum. Da https://www.researchgate.net/
Dopo la caduta dell’Impero Romano le testimonianze sulla produzione della pasta vengono meno: ciò probabilmente fu dovuto ai secoli turbolenti che seguirono il 476. L’economia e l’agricoltura entrarono in crisi, fu raccolto meno grano e di conseguenza fu prodotta meno pasta fresca.
Nel IX secolo la produzione ricominciò in Africa settentrionale. Si diffuse per la prima volta la pasta secca: contrariamente a quella fresca, questa veniva esposta al calore per eliminare l’acqua in eccesso e al contempo favoriva una maggiore e migliore conservazione nel tempo.
Le prima testimonianze scritte di pasta essiccata in Italia risalgono al XII secolo ad opera del geografo arabo al-Idrisi, che lavorò presso la corte del re Ruggero II di Sicilia.
Nel Libro di Ruggero, una raccolta di carte geografiche pubblicato nel 1154, egli menziona un paesino vicino Palermo di nome Trabia dove abbondavano i mulini per la fabbricazione di un tipo di pasta a fili che veniva modellata a mano e che prese il nome di vermiculi.
Idrisi la chiamò nei suoi scritti itriyya (oggi questo termine si conserva nel termine dialettale tria, ovvero un tipo di pasta tuttora prodotta nell’Italia meridionale), che aveva il significato di “pasta secca stirata e filiforme”.
Dopo la pratica dell’essiccazione, questo tipo di pasta veniva caricata in grandi quantità sulle navi e circolò in tutta l’area mediterranea cristiana e musulmana.
Alla fine del XII secolo, i vermiculi siciliani cominciarono gradualmente a diffondersi prima in Campania tra Amalfi e Napoli e successivamente, tra XIII e XIV secolo, a Salerno.
Tra il XII e il XIII secolo la pasta secca veniva consumata per lo più come cibo di riempimento quasi esclusivamente dai ceti popolari (in particolare contadini) negli stessi luoghi nella quale veniva prodotta, al contrario per i ceti più elevati il consumo era esclusivamente a base di pasta fresca e deperibile.
Nel tardo medioevo la diffusione dei vermiculi avvenne anche a Genova: la stessa tipologia di pasta aveva assunto il nome di fideli oppure di fidelini e fu proprio da tale città che cominciarono i traffici marittimi che portarono alla diffusione dei suddetti in tutta l’Italia centro-settentrionale. I mercanti genovesi avevano ottenuto a loro volta i vermiculi dagli stretti contatti col meridione ed in particolare con la Sicilia.
In seguito ai commerci genovesi anche in Provenza e in Inghilterra la pasta ebbe la sua diffusione e, addirittura, l’Inghilterra fu l’unico paese insieme all’Italia ad avere nei libri di cucina delle ricette di pasta (sebbene, va precisato, fino al XV secolo c’era molta confusione circa il termine pasta, e non si sapeva bene a quale variante si riferisse: dolce, salata, lessa, fritta, ecc.).
Manifattura della pasta. Da Tacuinum Sanitatis - Wikimedia Commons
Il Maestro Martino da Como, il più importante cuoco europeo del XV secolo, nel suo De Arte Coquinaria (caposaldo della cucina gastronomica italiana a cavallo tra il periodo medievale e rinascimentale), è il primo a descrivere minuziosamente il processo di produzione dei vermicelli.
Fu proprio nel XV secolo che cominciarono a diffondersi i primi grandi pastifici artigianali, dapprima nel napoletano a Gragnano. In particolare, in quegli anni, le classi popolari avevano una gran necessità di scorte alimentari durature e per questo motivo si perfezionò su ampia scala la produzione della pasta secca, ulteriormente ottimizzata dall’invenzione del torchio a vite per la trafilatura della pasta.
L’ultima grande rivoluzione, che si lega strettamente al presente, avvenne nel XVII secolo. Ancora una volta protagonista fu l’area del napoletano, stavolta sotto il dominio spagnolo. Furono introdotti sulle tavole per la prima volta i pomodori, esportati dal Nuovo Mondo. Seppur guardati con sospetto, poiché si pensava che i frutti fossero velenosi, si diffuse quello che oggi possiamo definire un classico della cucina nostrana: gli spaghetti (che assunsero il nome in via definitiva) al pomodoro, per l’appunto.
L’area napoletana incrementò ancora una volta la produzione, superando nelle vendite la Sicilia grazie ai prezzi molto ribassati e il piatto si diffuse in un primo momento tra i ceti popolari: gli spaghetti venivano mangiati con le mani entro un cartoccio e venivano venduti per le strade da ambulanti che li portavano in grandi pentole fumanti, stipate al di sopra di alcuni carretti.
Saverio della Gatta - Mangiamaccheroni. Da https://www.lasicilia.it
Nel XVIII secolo il piatto si diffuse per ultimo anche sulle tavole dei nobili, ma solo dopo l’invenzione (o meglio, il perfezionamento) di uno strumento indispensabile: la forchetta.
Quest’ultima era stata inventata qualche secolo prima ma era inizialmente composta da due “denti”. Ad un ciambellano alla corte del Regno di Napoli, Gennaro Spadaccini, si deve l’incremento a quattro, così per come la conosciamo ad oggi.
Insomma tutto ciò che oggi fa parte del nostro quotidiano ha spesso delle radici molto più antiche, che ci legano peraltro a diversi popoli e tradizioni. Conoscerle e farla conoscere è, e sempre sarà, la nostra missione.